Bitcoin è libertà13 minuti
3 gennaio 2019, 10 anni dal genesis block. In tanti si chiedono ancora cosa sia Bitcoin. Bitcoin non è una moneta e non è un asset. Bitcoin è libertà.
Nei secoli abbiamo conquistato delle libertà che i nostri avi non concepivano nemmeno. Diamo per scontato di poterci accompagnare a un consorte di altra estrazione sociale, o di poter ricevere un’istruzione, di poter compiere scelte fondamentali per la nostra vita privata, a prescindere da quale sia la nostra genealogia o il nostro sesso. Ma ci sono stati secoli in cui non era così e alcuni diritti, come la libertà di espressione, di associazione o di professare la propria religione non solo non erano riconosciuti, ma proprio non erano concepiti come possibili. Questo vale ancora oggi per molti popoli.
Civiltà che non abbiano ancora raggiunto i nostri standard ci sembrano ridicolmente retrograde e le osserviamo dall’alto in basso, come se la società occidentale si fosse ormai per sempre affrancata da quelle barbarie. Eppure, nonostante i progressi fatti, la nostra stessa società contemporanea non ha ancora veramente raggiunto la consapevolezza di quelli che sono i diritti fondamentali dell’uomo e di come questi possano trovare reale compimento, al di là della mera espressione formale su un trattato o una costituzione. Scriviamo di eguaglianza e libertà, eppure spesso queste parole sono vuote di significato e le nostre leggi non le onorano. Fra mezzo secolo i nostri nipoti guarderanno a questi giorni in modo non molto diverso da come noi guardiamo ai secoli bui del medioevo.
Le libertà di cui parlo non le abbiamo ottenute combattendo contro un despota o un regime corrotto. Se c’è un despota da combattere che ci tiene in catene, allora la civiltà umana ha già ottenuto la sua vittoria, poiché un nemico è stato identificato, una rivoluzione è in atto. Significa che l’idea di libertà fa già parte dei nostri pensieri, ci ha già sedotti, per poi spingerci all’azione. La libertà è un’idea che s’insinua nelle nostre menti come un seme che lentamente germoglia, di generazione in generazione, e a un certo punto, sprigiona un’energia implacabile, pretendendo di cambiare un mondo che improvvisamente non è più percepito come equo e giusto.
Per molte persone Bitcoin non è un’esigenza, è solo una sofisticata, tecnicamente eccellente, quanto inutile invezione. Molti ne comprendendono la tecnologia ma non ne afferrano ancora il reale significato. È difficile comprendere Bitcoin, proprio perché è in minima parte un’innovazione tecnologica, è soprattutto un’innovazione sociale. Di quelle più radicali, profonde, che segneranno un passaggio evolutivo epocale. Non ci si può aspettare che questa evoluzione si attui in 10 anni e il mondo cambi da un momento all’altro. Le nuove idee devono penetrare nel cuore di nuove generazioni per essere comprese, è necessaria una trasformazione sociale, una graduale interiorizzazione. L’epica di Bitcoin lascia totalmente indifferenti la maggior parte delle persone, perché non sono in grado di accoglierne la visione. Alcuni per ignoranza, altri per arroganza, o semplice mancanza di curiosità, o di vitalità.
Ciò che ci opprime non è un regime autoritario, non è lo Stato, non è il potere delle banche né della banca centrale, non è la tirannia della maggioranza. L’oppressore è l’ignoranza, lo stantio conservatorismo, l’attaccamento nostalgico alla tradizione, l’incapacità di vedere oltre l’abitudinario, la pigrizia intellettuale, la noncuranza per lo stato attuale, la sfiducia e la scarsa fede nel poter cambiare e migliorare. E così l’oppressore è al contempo nell’oppresso, nel nostro più caro e buon concittadino, nel nostro collega, nell’amico, all’interno della nostra famiglia, nei nostri stessi pensieri.
Chi ancora non riesce a comprendere Bitcoin, dovrebbe prima chiedersi: oggi siamo liberi di esprimerci, di comunicare, di scambiare, di scrivere, di prendere accordi, di siglare patti, di lavorare? Abbiamo davvero conquistato quelle libertà? Molti potrebbero dare una risposta affermativa a quasi tutte queste domande, eppure sotto gli occhi di tutti ci sono dei limiti intollerabili a queste libertà che pesano come macigni, che tuttavia sorprendentemente in pochi riescono veramente a vedere.
Ciò che ha fatto grande la civiltà umana, elevandola sopra le altre specie animali, è la capacità di organizzare un’economia. L’elemento chiave di un’economia non è la produzione, che esiste già nel regno animale, bensì lo scambio, il commercio. Il ragno produce la tela, l’uccello il nido, le formiche il formicaio, animali più evoluti producono ripari e talvolta utilizzano armi o utensili primitivi. Lo scambio invece, per quanto vi siano esempi primordiali anche fra gli animali (“doni” che si configurano come do ut des), è caratteristico e proprio dell’essere umano. Grazie allo scambio, abbiamo potuto organizzare al meglio il lavoro tramite la divisione delle mansioni e la specializzazione di alcuni individui in determinati settori. Così facendo abbiamo ottimizzato l’utilizzo delle risorse, lavorando in modo coordinato e infinitamente più efficiente, beneficiandone tutti. Il progresso della nostra specie deriva da questo semplice fattore, che ancora – e tanto più oggi – è determinante nella società, poiché più una società scambia più è ricca e prospera.
L’economia è un pilastro fondante della nostra civiltà e dunque riflette i principi morali fondamentali che regolano i rapporti fra gli esseri umani. Non solo fa suoi questi principi morali, ma li rende necessari, li promuove e magnifica, contribuendo a costruire un mondo dove non è il più forte a dominare e predare gli altri, ma dove prevale chi riesce a collaborare, con vantaggi non solo per sé, ma per tutte le parti che collaborano. Un principio morale universalmente riconosciuto per qualsiasi popolo, che precede di gran lunga altri ideali come l’uguaglianza o la libertà nelle sue varie declinazioni, è il rispetto della parola liberamente e volontariamente data. Il diritto viene dalla morale, così dal principio del rispetto della parola prende forma l’istituto giuridico del contratto. Un contratto funziona perché le controparti rispettano l’accordo, o l’intesa su cui si è instaurato il reciproco consenso. Ma solo nelle sue vesti più sofisticate il contratto assume forma scritta o digitale, mentre nella sua forma più primordiale, eppure ancora la più comune, è di tipo solo gestuale o verbale, come un’offerta di scambio. Il rispetto della parola data è funzionale quindi alla riuscita dello scambio e della collaborazione.
Nel ventunesimo secolo, un uomo non può realizzare un contratto di scambio con un altro uomo senza l’avvallo di un sovrano. Due uomini non sono liberi di dare compimento al principio morale forse più fondamentale della nostra civiltà: il rispetto della parola data. Se promettiamo a un amico che saremo da lui per cena, verosimilmente non ci sarà nessuna autorità pubblica che si interesserà alla faccenda, perciò saremo liberi di farlo senza rendere conto a nessuno. Se però tale promessa comporta un beneficio (anche solo potenziale) economicamente calcolabile per almeno una delle parti coinvolte, la promessa non può avere luogo senza la concessione dell’autorità. Qualsiasi comunicazione, accordo, scambio che abbia una rilevanza economica deve essere in qualche modo rendicontato allo Stato. Una semplicissima idea, come una teoria astratta, ma che abbia sufficiente potenziale per essere sfruttata economicamente, non può essere trasferita da individuo a individuo liberamente. Persino il dono non è libero: viviamo in una società in cui esiste l’imposta sulle donazioni.
Se abbiamo prodotto del pane col nostro lavoro, nel momento in cui lo scambiamo per della moneta si sta avverando un processo astratto molto sofisticato, per cui spesso non pensiamo al reale significato di quello che sta avvenendo. Nel concreto però, stiamo semplicemente vendendo il frutto del nostro lavoro in cambio della promessa di qualcun altro di lavorare per noi, offrendoci qualche bene o servizio di nostro interesse. La moneta non è altro che la contabilità del valore prodotto dal lavoro, che viene trasferita da individuo a individuo per tracciare quanto una persona sia in debito o in credito “di lavoro” con tutti gli altri individui (dove il lavoro è misurato nel valore che tutti gli individui presenti all’interno di un mercato, in base ai loro bisogni e preferenze, attribuiscono ai frutti del lavoro di ciascuno).
Quindi quando eseguiamo un lavoro per qualcuno in cambio di denaro, stiamo cedendo il nostro lavoro (o i frutti del nostro lavoro) in cambio di una promessa: il denaro che riceviamo rappresenta un credito, per cui qualcun altro nell’economia è nostro debitore per una quantità pari al valore del lavoro da noi eseguito. Senza questa “promessa” non è possibile lo “scambio”, inteso come commercio, che non sia un mero baratto. La scrittura contabile, dal contratto più complesso a una semplice banconota o moneta, in forma fisica o digitale, che ci scambiamo, è nient’altro che il resoconto dei nostri debiti e crediti. E questa è materia esclusiva di chi ha una licenza data dall’amministrazione pubblica, ad esempio la licenza bancaria, al punto che noi individui non possiamo essere debitori o creditori di nessuno senza l’avvallo del sovrano.
Insomma oggi non siamo liberi nemmeno di fare una promessa, da individuo a individuo, senza che un sovrano non la avvalli. Non importa se il sovrano sia un dittatore o un’amministrazione eletta dalla collettività, in entrambi i casi l’individuo deve dare notizia di tale promessa e deve scrupolosamente tenere fede alle direttive dell’autorità, le quali spesso prevedono il pagamento di un tributo. E questo avviene anche se gli individui coinvolti nell’affare non hanno alcuna necessità di coinvolgere l’autorità, né intendono avvalersi di essa come garante, né ritengono di aver bisogno di alcun tipo di “protezione”.
Pensiamo di essere liberi di scrivere, ma non possiamo attenerci a una scrittura contabile che non sia prevista dal sovrano. Possiamo scrivere di fate e folletti ma non di debiti e crediti. Per qualcuno che le cose stiano così è normalissimo, forse come era normale per un contadino del XVI secolo sapere che l’unica religione che poteva professare era quella del proprio principe (eius regio, cuius religio). Per qualcuno è normale che i debiti e crediti stipulati fra gli invidivui debbano essere autorizzati da un sovrano, proprio come poteva essere ritenuto normale che le pubblicazioni di un pensatore del XVI secolo dovessero essere autorizzate dalla Santa Inquisizione. Ora siamo liberi di scrivere senza il timore che un’accusa di eresia ci porti alla condanna a morte, ma possiamo essere condannati se non teniamo la contabilità secondo i dettami di un’autorità.
Non possiamo non utilizzare la moneta del sovrano, poiché siamo costretti per legge ad accettarla come forma di pagamento, con le sue caratteristiche strutturali e tutti i suoi problemi, come le frequenti frodi (ad esempio sulle transazioni con carta di credito, con enormi costi sociali). Tutti siamo costretti a pagare le tasse esclusivamente con essa, e il sovrano deve essere al corrente dei movimenti effettuati con altre forme di valore (come monete estere o altri titoli). Soprattutto però, non solo non possiamo trasferire ad altri il nostro denaro senza autorizzazione, ma nemmeno a noi stessi! Infatti qualsiasi trasferimento che non sia effettuato con contante richiede l’intermediario bancario.
La moneta sonante, metallica o cartacea, seppur sia nata in modo spontaneo da libere interazioni fra individui all’interno del mercato, è ormai da secoli anch’essa uno strumento monopolizzato dall’autorità, perciò anche il ruolo di disintermediazione della moneta “fisica” sta sparendo, dati i limiti di utilizzo sempre più stretti, i tagli di banconote più elevati vengono rimossi dalla circolazione, i prelievi di somme più elevate sono impossibili e soggetti a infiniti controlli. La maggioranza di transazioni ormai avviene digitalmente, tramite carte di credito e debito o pagamenti online. Di anno in anno il ruolo del contante è sempre minore (nel grafico, la differenza in 3 anni dal 2012 al 2015 per il mercato statunitense).
Con la progressiva scomparsa del contante, la civiltà umana sperimenta per la prima volta una completa e orwelliana collettivizzazione della riserva di valore. Infatti la banca non solo è in possesso dei nostri soldi, ma ne ha, tecnicamente e legalmente, la proprietà, per cui a tutti gli effetti i soldi che teniamo in banca non sono nostri, come recita l’articolo 1834 del codice civile:
Nei depositi di una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria (1272), alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante, con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi (1782).
Salvo patto contrario, i versamenti e i prelevamenti si eseguono alla sede della banca presso la quale si e costituito il rapporto.
Più le banche sono grandi e raccolgono il denaro di tutti, maggiore è la percentuale di riserva frazionaria che riescono a fare, poiché quando facciamo un trasferimento a qualcuno, è più probabile che il denaro rimanga all’interno dello stesso circuito, se sia mittente che destinatario condividono la stessa banca. Perciò meno contante viene utilizzato e maggiore è l’incentivo per le banche commerciali a fare espansione monetaria.
Siamo tutti d’accordo sulle nefandezze del comunismo, ma non siamo in grado di realizzare che finché non conquistiamo la libetà monetaria, il sistema attuale rimarrà sempre totalmente collettivista, non poi così diverso da quello sovietico. Se ai tempi dell’URSS i prezzi venivano fissati dal regime, oggi abbiamo la distorsione dei prezzi dovuta alle espansioni monetarie. Potremmo giustificarci dicendo che tale distorsione è una conseguenza inintenzionale che gli economisti mainstream non riescono a capire (anzi spesso non ne sono minimamente al corrente), ma il problema di fondo non è tecnico, bensì culturale. Oggi la cultura è ancora quella collettivista dei peggiori esempi del ‘900: basti vedere le quote latte applicate in italia per contingentare la produzione al fine di fissare il prezzo.
La distorsione dei prezzi e dei tassi di interesse è solo uno dei pezzi del puzzle. Anche la tassa da inflazione non è concettualmente molto diversa dagli espropri e dalla redistribuzione di terre effettuati nella Russia sovietica. Se Stalin privava il contadino dell’intero patrimonio famigliare da un giorno con l’altro sottraendone i terreni, anche nella civilissima società “capitalista e liberista” americana lo Stato priva le famiglie dell’intero patrimonio, solo che lo fa più lentamente, nel tempo. In un secolo il dollaro ha perso il 97% del suo valore, portando a quasi zero il potere d’acquisto del capitale trasmesso in eredità nel corso delle generazioni. Questo significa cancellare i debiti a discapito dei creditori, come se parte del loro lavoro passato (prestato in cambio di una promessa futura) venisse “cancellato” dai registri contabili. La progressiva perdita di valore della moneta comporta una redistribuzione della ricchezza dagli individui ad alcune entità specifiche che rappresentano i più grossi debitori della società odierna: le banche e lo Stato. La lira ha performato molto peggio del dollaro, azzerando il suo valore nell’arco di un secolo (ha perso circa il 97% del suo valore solo dal 1947 al 2002). L’euro dal 2002 ha perso il 25% del potere d’acquisto. (vedi i dati in questo post).
L’obiettivo non è tornare indietro, nostalgici di un passato migliore. Espansioni monetarie e riserva frazionaria si facevano ben prima di Bretton Woods, che pose fine all’ancoraggio del dollaro sull’oro. La Federal Reserve, ad esempio, nasce nel 1913 e dal ’21 al ’29 (anno della Grande Depressione) ha portato l’offerta monetaria da 37 a 55 milioni di dollari, drogando l’economia. L’espansione degli anni precedenti al lunedì nero di New York del 1987 è ancora più inquietante (il supply monetario passa da 25 a 40 miliardi di dollari in 3 soli anni), mentre sulla crisi del 2007 è dedicato un approfondimento su questo stesso blog (si esplori la sezione “Moneta” del menu). In realtà, c’è testimonianza delle prime espansioni monetarie e riserva frazionaria applicata dai primi banchieri (Pasione) già dall’epoca dell’antica Grecia (Trapezitica di Isocrate, 393 a.C.)
Oggi ci raccontano che l’economia è ciclica ed è necessario l’intervento della Banca Centrale per calmierare i picchi di alti e bassi. È una stupida barzelletta. L’economia poteva essere ciclica ai tempi delle polis autarchiche dove le condizioni metereologiche potevano dettare la fortuna di un’intera annata. Oggi, specialmente in un mondo globalizzato, la ciclicità può essere dettata da una sola cosa: la politica che distorce le dinamiche di libero mercato. L‘espansione monetaria è la causa del male ma è invocata come cura, come il drogato che assume la sostanza per calmierare i sintomi dell’astinenza. Le dinamiche economiche sono quelle che Hayek rivelava analizzando il fenomeno proprio dall’interno della FED negli anni precedenti la Grande Depressione, dinamiche studiate da economisti come Rothbard, Friedman. Ma questi studiosi (nonostante alcuni Nobel), insieme ad altri del calibro di Huerta De Soto, Mises, Menger, non sono nemmeno nominati nei libri scolastici.
Oggi non serve più il potere coercitivo nel monopolio dello strumento monetario. Semplicemente, ci sono soluzioni tecnologiche che ci permettono di adempiere agli stessi fini rispettando la volontà degli individui e senza ricorrere all’esercizio della violenza. Non è indietro che dobbiamo guardare, non dobbiamo rimediare a presunte nefandezze compiute nel passato. Non c’è mai stato un passato migliore. L’umanità ha sempre fatto passi in avanti e il prossimo passo è Bitcoin.
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