Bitfinex contro l’America33 minuti
tl;dr: l’immagine di copertina è una foto reale di un combattimento fra un’antilope e un tasso del miele (honey badger). L’antilope incorna l’honey badger e lo scaglia 5 metri in aria. Questi si rialza, si scuote dalla polvere e riprende l’attacco.
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1 – IL POTERE MANICHEO DEI BENPENSANTI
Anno 1921, Stato di New York. Dopo la prima guerra mondiale, la grande mela è ormai una capitale finanziaria del mondo, in grado di contendere il primato di Londra. Nel 1913 era nata la Federal Reserve, che iniziava a stampare moneta. Se gli anni precedenti si alternavano annate di inflazione e deflazione, con un valore pressoché stabile del dollaro, durante la guerra il tasso di inflazione annua del dollaro viaggiava galoppante al 15 – 17%. Un po’ per proteggersi dall’inflazione, un po’ per il progresso e per il cambiamento dei costumi sociali, gli investimenti e la speculazione nel mercato azionario e obbligazionario diventano una pratica comune, un fenomeno di massa.
L’ondata speculativa porta con sé anche i più cattivi esempi e l’opinione pubblica, in una società ormai volubile ai tormentoni mediatici, è facilmente impressionabile da notizie di truffe, schemi ponzi e imbrogli finanziari, tanto che sembra ormai doveroso a tutti che le istituzioni pongano rimedio. Si dice che vi siano “hustlers who would sell shares of the blue sky if they could”: faccendieri che venderebbero quote del cielo blu (the blue sky), se solo potessero. Ma le truffe e la risonanza mediatica non sono gli unici elementi a spingere le istituzioni a intervenire: i banchieri più piccoli iniziano a fare lobbying, poiché temono che i correntisti spostino quote sempre maggiori di denaro dai conti in banca ai mercati finanziari.
Così, si diffondono in vari Stati americani le così dette “blue-sky law”, leggi che danno poteri eccezionali al procuratore generale, con lo scopo di combattere le frodi sulle attività finanziarie. Siamo nel 1921 e viene promulgato, nello Stato di New York, il Martin Act.
In un primo momento, il Martin Act rappresentava una legge più blanda rispetto ad altre blue-sky law americane, ma negli anni iniziò ad avere applicazioni più aggressive, specialmente grazie alle interpretazioni della Corte Suprema del 1926. Diviene così un’arma sempre più potente nelle mani del General Attorney di New York, trasformandosi in quella che è stata definita “la peggiore legge in America”, almeno secondo il paper del Wall Street Journal intitolato, appunto, “The Worst Law in America”.[1]
Sono tante le assurdità del Martin Act. Fra queste, il fatto che al fine di procedere, per il procuratore non è necessaria una prova che vi sia un intento fraudolento, né risulta necessario provare che vi sia un’effettiva compravendita fraudolenta o un danno risultante dalla frode. Non deve nemmeno dimostrare l’esistenza di un indizio di colpevolezza (“probable cause”), né è tenuto a fornire alcun dettaglio dell’indagine (la ratio che giustifichi tale riserbatezza sarebbe quella di evitare reazioni da parte dei mercati). Insomma, la procura ha carta bianca per operare “so far as possible”, fintanto che si attiene al suo intento benefico (“beneficial purpose”) nel combattere possibili frodi, con uno strumento al limite di quello che può essere considerato costituzionale. Il procuratore può lanciare un subpoena per costringere a testimoniare e fornire documenti utili alle indagini e, con il Martin act, la sua decisione di condurre l’indagine non può essere rivista da una corte.
Bisogna precisare che il General Attorney è una carica elettiva, quindi politica, selezionata tramite voto popolare. Dal primo gennaio 2019 è in carica Letitia James, afroamericana militante nel partito Democratico, eletta con tre milioni e 700 mila voti. Tenete a mente questa persona, poiché ne riparleremo a breve. È a lei che oggi spetta la responsabilità della gestione di un potere grande come quello fornito dal Martin act.
Per almeno 75 anni, questa formidabile e pericolosa arma del regolatore americano, è rimasta sepolta e dimenticata. Tuttavia, la crisi finanziaria del 2008 è stata un ottimo pretesto per risvegliare la bestia dormiente e per i general attorneys newyorkesi è diventato quasi una moda farne uso nell’ultimo decennio, forse anche per via dei vantaggi personali che, in certi casi, hanno potuto ottenere grazie ad essa. Secondo un articolo di Bloomberg, applicando il Martin Act la procura di New York ha guadagnato notevole visibilità comminando multe per – letteralmente – miliardi di dollari, colpendo varie compagnie di Wall Street in casi in cui altri regolatori avevano le mani legate.[2]
I general attorneys che si sono susseguiti a capo della procura nel corso degli anni si sono spinti un po’ troppo in là, abusando del Martin act per qualsiasi scopo, persino per indagare sul cambiamento climatico: addirittura, è stato lanciato un subpoena a Exxon Mobile, in cui veniva richiesta una serie di documenti a partire dagli anni ‘70, per cercare di capire se la compagnia avesse tentato di nascondere gli impatti negativi dell’attività petrolifera sul “cambiamento climatico”. Per quanto riguarda Letitia James, Fra le indagini che di cui si è resa protagonista vi sono:
- le big pharma che vendono oppiacei
- Facebook e la questione privacy sul social network
- La National Rifle Association, la lobby delle armi americana
- Donald Trump, che lei chiama “illegitimate president”
Si direbbe insomma che alcune indagini siano guidate da una forte motivazione politica, più che giuridica.[3] Secondo articoli di Bloomberg e Overlawyered, le indagini sono state utilizzate dai procuratori per la loro risonanza mediatica, con lo scopo di vincere elezioni a uffici governativi: “[They] call the law a license to extract huge payments from companies to glorify politicians and help ambitious attorneys general win election to higher office”[4].
Questa lunga introduzione al Martin act ci tornerà utile fra poco, ma veniamo ai giorni nostri. È da un po’ di tempo che sotto il mirino della procura di New York c’è il mondo delle cryptovalute. Eric Schneiderman che è, per intenderci, quello del subpoena a Exxon Mobile sul cambiamento climatico, ha lanciato il subpoena a Bitfinex nel Novembre 2018, relativamente alla quale i miei lettori sono già ben informati.[5]
Bisogna dire che lo Stato di New York si è dimostrato totalmente ostile al mondo crypto in più occasioni. Nell’agosto 2015 è entrata in effetto la BitLicense che ha comportato il “Great Bitcoin Exodus”: si parla di “esodo” poiché poche aziende erano disposta a operare a New York pagando fra i 50 e i 100 mila dollari necessari a ottenere tale licenza. Soprattutto però, a scoraggiare le aziende è stato l’obbligo di fornire al regolatore un’incredibile quantità di dati sensibili relativi al proprio business e ai propri clienti che la licenza richiede. Così Bitfinex, Kraken, LocalBitcoins, Poloniex, Genesis Mining e molte altre aziende hanno smesso di operare nello Stato. Sono rimaste, acquistando la licenza, Ripple (che è un’azienda, tanto per ricordarlo), Coinbase, Xapo e Bitpay.[6]
Nel 2016 Bitfinex era già stato multato dalla Commodity Futures Trading Commission perché la piattaforma concede, secondo le leggi americane, troppa libertà nel trading a margine. Chi conosce e pratica il trading in leva capirà bene l’inutilità e la fastidiosità di leggi come queste applicate dalla CFTC. Sembrano fatte per batter cassa, o per il solo scopo di mostrare che loro sono l’autorità, che può limitare arbitrariamente le tue libertà. Che tanto poi, diciamocela tutta, a perdere tutto quello che investi ce la fai benissimo anche con il regolatore che ti fa da balia a limitare i margini.
Contro l’ecosistema Bitcoin regolatori e procura si abbattono implacabili: l’ex procuratore Schneiderman nel 2018 ha indagato su almeno 13 grandi exchange fra cui Coinbase, Bitfinex, Gemini e Kraken, presentando a ogni compagnia una lista di domande in 34 punti, da compilare e consegnare entro 2 settimane.[7]
Mentre alcune compagnie, fra cui Bitfinex, sono state più accomodanti, Jesse Powell di Kraken, stufo di perdere tempo, soldi e di dover variare la roadmap del suo business perché troppo indaffarato a compilare lunghi questionari che sembrano un interrogatorio, ha deciso di rispondere col dito medio alla richiesta: “il procuratore mostra di essere completamente disconnesso dalla realtà […] abbiamo preso la saggia decisione di andarcene da New York 3 anni fa […] vada a chiedere informazioni alle compagnie che operano nel suo Stato. Il questionario che abbiamo ricevuto oggi prova che New York non solo è ostile alle crypto, ma è ostile al business in generale”
Ma perché questa nuova tendenza manichea contro le cryptovalute? Questi burocrati benpensanti sono burattini in cerca di consenso degli elettori e dei loro superiori, giocano sull’onda emotiva della massa, pretendono le luci della ribalta e seguono pedissequamente una morale sovranista che fa della violenza coercitiva uno standard nel proprio modus operandi. E cosa c’è di più facile per un procuratore che vuole far carriera, che colpire al cuore l’ecosistema nascente in Bitcoin, attaccare il mondo “corrotto” delle cryptovalute, utili unicamente al riciclaggio di denaro, alla speculazione selvaggia, o per finanziare organizzazioni di black hacker e “terroristi” come Wikileaks? In fondo, le ragioni di questa ostilità non sono molto diverse da quelle che vediamo nell’accanimento verso due famosi personaggi, legati in qualche modo al mondo Bitcoin: Ross Ulbricht, di cui scrivevo qui[8] e Julian Assange, di cui penso di aver scritto ancora troppo poco. Pregiudizi, una morale ipocrita e perbenista e tanta, tanta ignoranza.
Gli exchange Bitcoin sono il perfetto capro espiatorio di tutti i mali della civiltà: fragili, poco strutturati, talvolta ingenui, ma sempre invischiati in affaracci. Se li calpesti nessuno si lamenta dei loro diritti, figuriamoci di quelli dei loro utenti, tutti speculatori ed evasori. Storie di riciclaggio di denaro e legami con la droga fomentano il pregiudizio dei nostri amici benpensanti, e le recenti parole del grande erudito Joseph Stiglitz ne sono l’incarnazione più naïve: “we should shut down the cryptocurrencies”.
Soprattutto però, viene comodo braccare la preda in questo ultimo periodo, poiché effettivamente qualcosa di molto inquietante sta accadendo fra alcuni exchange Bitcoin, ormai da mesi…
2 – INSOLVENTE, INSOLVENTE, INSOLVENTE
Nel gennaio 2019 Zerononcense, il portale di ricerca e consulenza in ambito bitcoin e blockchain, lancia un allarme: il cigno nero è in agguato.[9] Alcuni exchange sembra siano insolventi, ma non si tratta di “exit scam” o truffe localizzate. È qualcosa di strutturale, di più profondo.
COINAPULT:
Coinapult è un exchange poco noto, ma fondato da Erik Vorhees di Shapeshift e lanciato con la raccolta di 750 mila dollari grazie alla promozione di Roger Ver. Da mesi, gli utenti di Coinapult lamentano che i propri fondi sono bloccati.[10]
Il 10 dicembre 2018 compare un messaggio nella home page dell’exchange, informando gli utenti che alcuni servizi sono “temporaneamente” sospesi e i prelievi potrebbero impiegare più del solito per essere eseguiti.
Il payment processor a cui Coinapult si affida è l’azienda panamense Crypto Capital.
CEX.IO:
Coinapult non è un caso isolato, simile sorte tocca all’exchange CEX.io. Gli utenti della piattaforma iniziano a riscontrare dei problemi coi prelievi già nell’aprile e maggio 2018. Numerosi sono i reclami apparsi anche su twitter e reddit. Per fare un esempio, questo utente[11] ha atteso 44 giorni per ritirare 34 mila dollari. L’azienda si è giustificata dicendo di aver riscontrato “difficoltà nel transare in dollari per via del servizio insoddisfacente del suo payment processor, che ha violato termini contrattuali e garanzie”.
Ancora una volta, il payment processor di CEX.io è l’azienda panamense Crypto Capital.
Canale Reddit di CEX:
Sito web di CEX:
QUADRIGA CX:
La storia di QuadrigaCX è più turbolenta, ma è così teatrale che vale la pena raccontarla in ogni suo atto, anche a rischio di divagare un po’ dall’obiettivo di questo articolo. Il proprietario dell’exchange, Gerald Cotten, è passato alle cronache di tutto il mondo perché nel dicembre dello scorso anno è “morto”, portandosi nella tomba 25 mila Bitcoin di cui solo lui conosceva le chiavi private. Ma la vera storia dietro questa faccenda è ancora più incredibile.
QuadrigaCX si affidava al payment processor Costodian Inc. (http://costodian.com/), il quale operava con un conto bancario presso la Canadian Imperial Bank of Commerce (CIBC). Tale banca ha però perplessità sulle attività del payment processor e teme il riciclaggio di denaro, perciò congela i fondi di Costodian Inc. e del proprietario Jose Reyes, spiegando che prima di rilasciarli necessita di capire esattamente a chi appartengano quei soldi, se a Jose e alla sua azienda, oppure a QuadrigaCX, o ad alcuni clienti dell’uno o dell’altro servizio.
I fondi congelati sono 28 milioni di dollari canadesi (22 milioni di $ americani) e di questi, QuadrigaCX rivendica la proprietà di almeno 16.3 milioni di dollari americani, perciò cerca di recuperarli e farli sbloccare tramite vie legali. Dopo circa 10 mesi di indagini, il 9 novembre 2018, la Corte Suprema dell’Ontario afferma che non è risultato possibile stabilire la proprietà di quei fondi, che vengono quindi sequestrati e passano in possesso della Corte stessa.[12]
Ad oggi quei soldi non sono ancora sbloccati. Ma il bello deve ancora venire. Nel corso del 2018 infatti QuadrigaCX continua ad operare, ma essendo ormai inagibile Costodian Inc. si affidano, ebbene sì, a Crypto Capital.
Come ammetterà ex post un dirigente di Quadriga pubblicando su Reddit a gennaio, sin dal novembre 2018 l’exchange ha avuto problemi di liquidità, ma non tanto per i fondi bloccati dalla Corte Suprema, bensì per colpa di Crypto Capital, per cui sono costretti a rimuovere i canali di Crypto Capital dalle modalità di depositi e prelievi[13]:
Attenzione ora ai passaggi:
- Il 9 novembre la Corte Suprema dichiara che è impossibile stabilire di chi siano i soldi in banca. Non si sa, insomma, se siano di QuadrigaCX, dei suoi utenti, di Costodian o di chi altri
- Nel corso del mese, QuadrigaCX riscontra dei problemi nei depositi e prelievi a causa di Crypto Capital
- Il 27 novembre Gerald Cotten stila il proprio testamento. Lascia quasi tutto alla moglie, che aveva sposato soltanto il mese prima. Fra i beni in eredità, si conta anche una lexus del 2017, un aeroplano e uno yacht. Ma il testamento[14] è così dettagliato da includere anche 100 mila dollari lasciati a un trust che si occupi dei suoi amati chihuahua, Nitro e Gully.[15]
- Il 9 dicembre, 12 giorni dopo la stesura del testamento, Gerald Cotten “muore”, in India.
Secondo le cronache, nessun altro dipendente dell’exchange conosceva le chiavi private, perciò con Cotten sarebbero andati persi circa 26.500 bitcoin (più altre cryptovalute minori) appartenenti a circa 90 mila clienti di QuadrigaCX. In realtà, secondo l’analisi delle transazioni su blockchain fatta da ZeroNoncense, ci sarebbero stati meno di 1000 btc nelle casse dell’exchange. Perché dunque si parla di 25 mila? Dove sono finiti quindi tutti i soldi degli utenti? Sono in bitcoin o in dollari? Sono congelati e in mano alla Corte suprema? Li ha Crypto capital, oppure se li sono mangiati Nitro e Gully?
Le cause della morte sarebbero complicazioni dovute al morbo di Chron. Si dice che l’uomo sia morto davvero e che la salma sia stata portata in Canada, ma questo epilogo non ha convinto tutti. Alcuni elementi hanno fatto sospettare un’incredibile messinscena. il The times of India riporta che in quella regione siano molteplici i casi di certificati di morte falsi. In un mese in India sono state arrestati ben 6 fabbricanti di certificati falsi. Se il buon Gerald era così scrupoloso, o se la sentiva proprio che di lì a poco doveva morire, verrebbe da chiedersi perché stilare un testamento così dettagliato persino per gli amati chihuahua, dimenticandosi completamente delle chiavi private dei bitcoin, la cui gestione sicura dovrebbe essere stata la sua occupazione principale a livello professionale.
Per farla breve: cosa sia successo in casa Cotten è difficile dirlo, quel che è sicuro però è che Crypto Capital ha contribuito ai problemi – già grossi – dell’exchange, che ora è fallito per insolvenza.
BTCC, CHIP-CHAP & BITFINEX:
Nel 2018 (lo screenshot risale al 28 gennaio) la pagina sul sito di Crypto Capital relativa ai partners contava numerosi exchange. Abbiamo visto però che QuadrigaCX, Coinapult e CEX.io hanno sospeso i servizi. Altri tre exchange, Bitfinex, Chip Chap e BTCC hanno abbandonato Crypto Capital e sono stati rimossi dalla pagina (nello screenshot sotto, li ho segnalati con una croce arancione). Evidentemente hanno avuto tutti problemi col payment processor. Di quelli rimasti nell’attuale pagina, tre non operano più o non offrono servizi di deposito/prelievo (i suddetti CEX, Quadriga e Coinapult, segnalati con salvadanaio rotto). Di tutti i clienti di Cryptocapital, pare rimanere solo EXMO. Vedi la situazione oggi: https://cryptocapital.co/#EXCHANGES
EXMO
EXMO non è un exchange particolarmente noto alle cronache e non sembra aver mai avuto significativi problemi. L’unica notizia di rilievo fu il rapimento, nel 2017, di Pavel Lerner, dirigente dell’exchange, che a quella data contava circa 100 mila traders attivi. Pavel venne rapito a Kiev da un gruppo di uomini con passamontagna, mentre usciva dal suo ufficio. Dopo aver pagato un riscatto da un milione di dollari in bitcoin, viene liberato dai rapitori in un’autostrada. La storia non sembra aver avuto ripercussioni sull’exchange, di cui pare che Pavel non detenesse personalmente alcuna chiave per accedere ai fondi.
L’azienda mi ha confermato di recente che è ancora possibile utilizzare il canale di Crypto Capital, anche se il sito mostra altri canali per depositare e prelevare fondi, per cui è probabile che utilizzino prevalentemente delle alternative. Mi viene il dubbio che, essendo un exchange piccolo e poco frequentato, non si siano ancora accorti dei problemi di Crypto Capital. Oppure, dato che EXMO serve principalmente clienti nell’est-europa, Crypto Capital potrebbe appoggiarsi a banche con cui riesce ancora a operare.
A questo punto delle indagini, è ormai evidente che c’è qualcosa di marcio con Crypto capital e che è trasversale a moltissimi servizi, l’analisi di Zerononcense era corretta.
Ma perché tutti questi exchange si affidavano a Crypto Capital? Di che società si tratta e cosa è andato storto? Crypto Capital, società in origine panamense, ha smesso di essere tale nel giugno 2018, quando si è mossa a Zurigo, col nuovo nome di Global Trade Solutions AG, autorizzata dalla Finma Svizzera a svolgere attività di money service operator https://www.arif.ch/Members-list
Tale società ha un conto bancario nella grande banca inglese HSBC, mentre l’affiliata Global Trading Solutions LLC ha anche conti in Citibank, Enterprise Bank & Trust e in Wells Fargo. Ma ci sono almeno altre 5 società appartenenti allo stesso gruppo che operano in Polonia, Portogallo e Germania. Come biasimare dunque un exhange per aver trovato finalmente un payment processor autorizzato ad operare dalle istituzioni, che sia crypto-friendly e che abbia così tanti agganci e canali bancari in tutto il mondo? Sembra davvero il paradiso dei crypto-addicted. Anche Kraken e Binance hanno utilizzato Crypto Capital per un breve periodo.
Tuttavia, è almeno dal gennaio 2018 che qualcosa non va. In Olanda per esempio l’azienda ha un conto presso ING Bank. Il conto viene congelato nel gennaio 2018, ma Crypto Capital riesce a sbloccare i fondi 112 giorni dopo. Forse è soltanto una coincidenza, ma nel corso del 2018 la banca olandese ING non se la passa bene, a settembre paga una multa da 775 milioni di euro per le mancate misure contro riciclaggio e corruzione, e a ottobre Bankitalia proibisce a ING di aprire nuovi conti corrente nel nostro paese.
Poi a marzo le notizie dalla Polonia, dove Crypto Capital ha due filiali. Vengono sequestrati 1,27 miliardi di dollari dalle autorità. Ai tempi non c’era ancora nessuna accusa formale da parte delle autorità, ma si sapeva già che i magistrati polacchi erano in attesa di indicazioni di Europol e Interpol, a dimostrazione del fatto che l’indagine fosse su scala internazionale. Alcuni articoli parlano di riciclaggio e attività criminali, forse anche collegate al cartello della droga colombiano. Non c’è nessuna evidenza di questo collegamento, ma un po’ di folklore non fa mai male per le testate giornalistiche. Secondo alcuni reportage, parte del denaro era collegato a persone i cui nomi apparivano su Panama Papers, cioè nei documenti dei paradisi fiscali resi disponibili dopo la fuga di dati dall’ufficio fiscale e legale di Mossack Fonseca, da Panama. Nel mondo crypto la notizia del sequestro in Polonia ha una certa risonanza, dato che oltre 300 milioni (fra i 340 e i 371) dei fondi sequestrati alle due filiali polacche di Crypto Capital appartengono in effetti ai clienti di Bitfinex, che hanno versato lì i propri fondi per operare sull’exchange.
È la volta poi del conto di Crypto Capital in HSBC in Inghilterra, chiuso per frode e riciclaggio nell’ottobre 2018. Anche in questo caso, la notizia viene collegata a Bitfinex, anche se formalmente HSBC non è una banca di Bitfinex e non ha accordi con l’exchange. Bitfinex è però il più visibile semplicemente perché è il più grande dei clienti di Crypto Capital, essendo il primo per scambi di Bitcoin contro dollaro.
Guardando alle varie società del gruppo, sembra che nessuna sia stata risparmiata.
- Haparc B.V, Olanda – Bank ING (congelato nel gennaio 2018, fondi restituiti 112 giorni dopo)
- Crypto SP z.o.o, Polonia – Bank Spółdzielczy w Skierniewicach (sequestro nel marzo 2018)
- iTran SP z.o.o, Polonia – Bank Zachodni WBK (sequestro nel marzo 2018)
- Global Trading Solutions LLC, Stati Uniti – US Bank (chiuso)
- Global Trade Solutions A.G., Svizzera – Caixa Geral De Depositos, Portogallo (chiuso)
- Global Trade Solutions GmbH, Germania – Deutsche Bank Privat Und Geschaeftskunden AG (?)
Il conto in Germania è forse l’ultimo a chiudere, motivo per cui EXMO è ancora operativo tramite Crypto Capital? Lo scopriremo, ma di certo, se fosse ancora operativo, ha comunque i giorni contati.
Il 4 maggio infatti, pochi giorni fa, si arriva al capolinea di questa storia: due mandati di arresto per l’afroamericano Reginald Fowler e la donna Ravid Yosef. Fowler era un giocatore professionista di football americano, ora co-proprietario della squadra Minnesota Vikings. Proprietario anche di Spiral Inc. (in bancarotta), dell’azienda OEM Logistics, nonché di molte delle società del gruppo Crypto Capital sopra citate. Ravid Yosef è invece una blogger e “relationship coach” di Los Angeles che si è stabilita a Tel Aviv e, secondo le cronache, ha trovato l’amore della sua vita in un bar (un bel ragazzo nero) mentre era al primo appuntamento con un ragazzo (si, un altro ragazzo) conosciuto su Tinder. Questo è certamente un dettaglio indispensabile per la nostra storia.
Fowler è ora agli arresti, la bella signora invece… fuggitiva.
L’indagine su Crypto Capital è stata condotta dal Southern District of New York (SDNY) e a quanto pare la procura ha nel mirino tutto il mondo crypto, sospettosa di qualsiasi attività e servizio in cryptovalute, non soltanto quelle legate a Crypto Capital. Le autorità americane hanno, per così dire, il “sequestro facile”, in barba alla nostra libertà finanziaria. Perché in fondo, tutti i soldi bloccati nei vari conti non sono tanto di Fowler e socia, quanto di exchange ignari e utenti comuni, come noi, ancora più ignari. Non a caso nell’ultimo mese Bitcoin è cresciuto del 15%: se i dollari non sono sicuri, meglio convertire in bitcoin!
È impressionante la facilità con cui gli americani riescano a sconfinare e dettare legge al di fuori del loro perimetro. Questo non riguarda solo il mondo crypto. Ad esempio, a fine aprile di quest’anno, dopo 6 anni di indagini del New York Department of Financial Services e altre autorità americane, Unicredit ha patteggiato pagando una multa da 1,3 miliardi di dollari. L’accusa è quella di transazioni verso paesi come Iran, Libia, Siria, Cuba, Myanmar e Sudan, contro cui gli Stati Uniti hanno indetto (spesso unilateralmente) un embargo. È sorprendente e inquietante il fatto che un embargo indetto da una nazione straniera possa dettare legge su ciò che aziende private di altre nazioni possano o non possano fare. E quello di Unicredit non è affatto l’unico caso, ben 15 banche europee hanno pagato più di 19.5 miliardi di dollari per aver violato embarghi e sanzioni USA verso vari paesi. Ad esempio BNP Paribas ha pagato 9 miliardi nel 2014. L’elenco di altre banche multate dalle autorità USA è incredibilmente esteso, fra cui HSBC, ING o Barclays (la banca di appoggio di Coinbase)[16]
3 – LETITIA CONTRO BITFINEX
E per finire, veniamo alla parte più importante di questa storia, quella che ci coinvolge da vicino, dato che molti bitcoiners hanno un account su Bitfinex. L’attuale procuratore generale di New York Letitia James si scaglia ancora contro l’azienda, ma in mancanza di prove o “probable cause”, a cosa può ricorrere per perseguire l’exchange? Nella caccia alle streghe, torna comoda una legge anche più antica del maccartismo: il famigerato Martin Act. In assenza di qualsiasi elemento probatorio la procura non può denunciare un crimine, perciò l’atto di accusa del 24 aprile è formalmente una ingiunzione preliminare[17] che sfrutta proprio la legge del 1921.
Con questo atto il Department of Justice richiede a Bitfinex una serie di documenti relativi a clienti, transazioni, conti, documenti fiscali etc. e pretende che Bitfinex identifichi ogni cittadino dello Stato di New York che utilizzi la piattaforma. Infine, intima all’exchange di terminare le “presunte pratiche fraudolente”, che sono solo presunte, appunto in mancanza di evidenza. La mera possibilità sembra sufficiente, per la procura, al fine di emanare un’ordininanza di questo tipo, con un impatto potenzialmente dirompente sull’azienda stessa, la sua reputazione, ma anche i mercati. Il tutto senza nemmeno contattare prima l’azienda in via privata: “without notice or a hearing”, come lamenta Bitfinex nell’annuncio pubblico di risposta. A giustificare un’ingiunzione immediata di questo tipo sarebbe, secondo la procura, il fatto che una potenziale “dissipazione di assets” da parte di Bitfinex o Tether renderebbe impossibile un rimborso ex post, qualora la frode venisse realmente verificata.
L’accusa vera e propria lanciata a Bitfinex è il fatto di aver coperto, con 700 milioni di dollari nelle disponibilità di Tether, una “apparente” perdita di 850 milioni di dollari che iFinex starebbe cercando di nascondere a azionisti e clienti, e per la quale si trova in difficoltà nel coprire i prelievi degli utenti.
“Bitfinex … engaged in a cover-up to hide the apparent loss of $850 million dollars”.
La procura afferma che Bitfinex non riesce a recuperare quei fondi da Crypto Capital, il payment processor a cui si affida. Nei file della procura compaiono le chat, risalenti all’agosto 2018, in cui Giancarlo Devasini (con l’account “Merlin”) fa pressioni su un executive di Crypto Capital, dicendo che se non sbloccano i fondi si rischia il disastro sistemico: “bitcoin potrebbe crollare sotto i mille dollari se non agiamo in fretta […] non c’è modo di muovere almeno 100 milioni? […] stiamo ricevendo una gran quantità di richieste di prelievi e non saremo in grado di affrontarli se non siamo in grado di tirare fuori dei soldi da Cryptocapital”.
Merlin, 15.08.2018 10:01:
I need to provide customers with precise answers at this point, can’t just kick the can a little more
Merlin, 15.08.2018 10:02:
Please understand all this could be extremely dangerous for everybody, the entire crypto community
Merlin, 15.08.2018 11:03:
BTC could tank to below 1k if we don’t act quickly
Merlin, 15.08.2018 11:46:
Hey Oz, sorry to bother you every day, is there any way to move at least 100M … ? We are seeing massive withdrawals and we are not able to face them anymore unless we can transfer some money out of Cryptocapital
Nonostante tutto, Bitfinex riesce in qualche modo a salvare la faccia (ed evitare altri dump del prezzo di Bitcoin e una crisi sistemica, in pieno bear market) rispondendo alle esigenze degli utenti tramite l’esecuzione di ben 700 bonifici per oltre un miliardo di dollari nel solo mese di ottobre 2018. Tali prelievi sono stati effettuati da grandi investitori, vista l’entità degli importi per una media di un milione e mezzo di dollari per bonifico.
Nel novembre 2018 però, Bitfinex deve far fronte a una nuova ondata di bonifici e Crypto Capital è ancora reticente. I soldi non si vedono e Devasini va su tutte le furie, scrivendo all’executive di Crypto Capital: “Devi dirmi la verità riguardo a quello che sta succedendo. Sono qui per aiutarti e sono stato paziente finora, ma devi finirla con le stronzate e dirmi che cazzo sta succedendo”.
Merlin, 28.11.2018 10:55:
I think you should stop playing and tell me the truth about what is going on
Merlin, 28.11.2018 10:56
I am not your enemy, I am here to help you and have been very patient so far, but you need to cut the crap and tell me what is going on
Bitfinex afferma di aver fornito queste chat alla procura in un’ottica di massima collaborazione, dato che non c’è niente da nascondere. Una “gentilezza” che forse gli si è ritorta contro. Non si aspettavano l’ingiunzione preliminare del 24 aprile, fatta senza alcun preavviso. Forse sarebbe stata migliore la strategia del “dito medio” scelta da Kraken?
Nel frattempo, sin dall’ottobre 2018 Bitfinex passa alle vie legali, provando a bypassare Crypto Capital, che evidentemente è inabile a restituire i fondi (e ora sappiamo bene perché), e cercando di recuperare i soldi direttamente dalle banche in cui si trovano.
Come vedremo, Bitfinex ha buone ragioni per scagionarsi dalle accuse della procura, le quali sono state sottolineate egregiamente nella risposta dei legali all’accusa (vedi più avanti). Prima di vedere tale risposta però, è bene chiarire quale sia la situazione patrimoniale di Tether e Bitfinex.
Nel mio precedente articolo avevo spiegato come ogni indizio facesse pensare che Tether fosse effettivamente coperto al 100% da dollari americani, al contrario di quanto insinuano i detrattori. La nostra storia a quei tempi si fermava poco dopo l’abbandono delle banche in Taiwan e Wells Fargo, spiegando come Bitfinex avesse depositato miliardi di dollari cash nelle casse di Noble bank la quale, grazie al nuovo cliente Bitfinex, chiude l’anno 2017 con un balance di 3,3 miliardi di dollari, mentre l’anno precedente custodiva soltanto 191 milioni. Dal giugno dell’anno scorso però molte cose sono cambiate.
Come abbiamo visto dalle chat, iniziano i problemi con Crypto Capital. E anche Noble bank non risulta adeguata a processare l’incredibile quantità di pagamenti richiesta da una realtà come Bitfinex. Allora Tether sposta 1.8 miliardi di dollari presso Deltec Bank & Trust Limited, nelle Bahamas, nuovo partner del colosso delle cryptovalute, che rimane ad oggi la sua banca principale. La notizia è pubblica il 1 Novembre 2018 e dal 27 novembre 2018 si riapre alla verifica degli account senza quindi appoggiarsi a terzi payment processors, come lo era Crypto Capital.
Nel frattempo, Bitfinex apprende che i conti di Crypto Capital in Portogallo, Polonia e UK vengono congealti da vari magistrati europei. Il management di Bitfinex è all’oscuro delle ragioni di questi sequestri, anche se il sospetto ricade sulle autorità statunitensi. L’azienda si muove comunque per vie legali con lo scopo di far sbloccare i soldi, che tuttavia sono ormai 850 milioni di dollari e l’exchange inizia ad essere seriamente a corto di denaro. Una contromossa a questo punto è necessaria.
Sospendere i prelievi e dichiarare pubblicamente al mondo di avere un temporaneo buco di 850 milioni di dollari in queste circostanze sarebbe stato un suicidio. Anzitutto, perché i soldi nelle banche potrebbero essere restituiti da un momento all’altro, concedendo nuovamente liquidità all’exchange. Sarebbe un autogoal incredibile annunciare di essere momentaneamente insolventi, quando il giorno seguente potrebbe risolversi la situazione. Tenere duro e attendere la restituzione dei fondi sembra più sensato, anche perché era già accaduto che i fondi venissero restituiti, come nel caso della filiale di Crypto Capital olandese, i cui fondi sono stati sbloccati dopo 112 giorni. Soprattutto però, con tutti i detrattori e il F.U.D. di chi da anni si scaglia contro Bitfinex quotidianamente, dichiarare pubblicamente i problemi di solvibilità suonerebbe come una resa incondizionata a tutte le dicerie, scatenando probabilmente un bank run massivo da parte degli utenti, peggiorando ancor di più la situazione.
Il management dell’exchange decide quindi di adottare diverse misure:
- Tether presta soldi a Bitfinex
In novembre, Tether trasferisce 625 milioni a Bitfinex per far fronte ai prelievi. Il trasferimento avviene fra l’account di Tether presso la banca Deltec all’account di Bitfinex nella stessa banca. Di contro, Bitfinex sposta dal suo conto su Crypto Capital 625 milioni (altrimenti inagibili) al conto su Crypto Capital di Tether. In poche parole, Tether passa dei dollari “buoni” e si prende dei dollari “momentaneamente cattivi”, essendo questi ultimi difficilmente disponibili poiché nei canali di Crypto Capital. Questa misura è però solo momentanea, nella speranza che la situazione si sblocchi velocemente e i fondi vengano rilasciati. Ma così non avviene, perciò le due società fanno dietrofont e decidono che è necessaria una soluzione più strutturale.
Così, il 19 marzo 2019 iFinex ottiene una linea di credito da Tether di 900 milioni di dollari con scadenza a 3 anni. In cambio, mette a garanzia 60 milioni di azioni di iFinex Inc. Queste azioni appartengono in realtà a DigFinex, la holding proprietaria sia di Tether che di iFinex, ma da contratto DigFinex decide di non disporne, permettendo così la transazione. Questa linea di credito è oggi occupata per 750 milioni, perciò Bitfinex potrebbe ancora attingere per altri 150 milioni se l’ingiunzione della procura venisse revocata dal giudice Cohen della Corte Suprema americana (a cui si è appellato Bitfinex), che si pronuncerà lunedì 13 maggio.
La mancata trasparenza nei confronti di azionisti e clienti della piattaforma rispetto a quest’ultima transazione è proprio ciò che la procura di New York accusa nella sua ingiunzione preliminare del 24 aprile. Tuttavia, le ragioni per cui questa azione è stata condotta senza comunicazione pubblica è chiara: come detto poc’anzi, dichiarare un buco temporaneo di 850 milioni sarebbe potuto essere una mossa suicida.
- Diversificazione del rischio investendo in titoli
Dopo l’esperienza di anni di lotte nel vano tentativo di cercare un approdo sicuro per i soldi dei propri clienti, è evidente per Tether/BItfinex che le banche possono essere estremamente fragili. Ecco quindi una mossa sorprendente e a suo modo brillante, per quanto controversa: utilizzare in assoluta trasparenza (l’annuncio è pubblico) parte dei dollari che costituiscono il sottostante di Tether per comprare obbligazioni e titoli di Stato, inclusi titoli di Stato americani. La scelta può sembrare spiazzante, dopo che l’azienda ha insistito, sin dal 2014 (anno di nascita di Tether), che ogni USDT è stabilmente ancorato a un dollaro nelle casse della società. Tuttavia, un titolo in capo all’azienda ha il grandissimo vantaggio di costituire un asset diverso rispetto a un conto bancario che, come si è visto, può essere congelato da un momento all’altro senza preavviso.
Un T-Bill americano (il corrispettivo dei nostri BOT) rende il 2,5%, che su grandi cifre come i soldi in pancia a Tether costituiscono rendimenti stellari. In periodi in cui manca la liquidità possono fare molto comodo. Da un lato, investire in obbligazioni può comportare dei rischi, poiché queste hanno una loro naturale scadenza e non è possibile disporre subito del loro controvalore monetario, il che potrebbe portare al problema di ritrovarsi a corto di liquidità se ci sono picchi nelle richieste dei prelievi degli utenti. Dall’altro lato però, costituisce un buon modo per diversificare la propria esposizione ai rischi della moneta cash, poiché la scadenza di un titolo di Stato a breve periodo può anche costituire tempi inferiori rispetto a quelli necessari per ottenere la restituzioni di fondi bloccati in un conto bancario.
Fra l’altro, la scelta di diversificare è stata corroborata anche dal fatto che le altre stable coin esistenti e ancorate a dollari detengono solo una riserva frazionaria immediatamente liquidabile. Ed è così insomma che Tether passa dall’essere coperto soltanto per il 74% da dollari cash e per il restante da titoli obbligazionari.[18]
Ironia della sorta vuole che ad oggi ci siano 850 milioni di dollari di sottostante a Tether congelati in varie banche, ma i rispettivi USDT ancora si muovono liberamente da wallet a wallet, da exchange a exchange, e gli utenti li scambiano (al cambio attuale) a 0,99 cent per USDT contro 1 dollaro, insomma quasi alla parità. Ma perché, ci chiediamo, il valore di USDT nei mercati rimane così ancorato al dollaro, nonostante le notizie dell’ultimo periodo? La risposta è semplicemente che i traders non shortano USDT, perché lo ritengono rischioso o comunque non remunerativo. L’unica ragione per cui USDT possa calare in modo permanente sotto al valore del dollaro è il caso in cui i dollari sottostanti venissero non solo congelati temporaneamente, ma confiscati permanentemente dalle autorità. Ad oggi questa condizione è assolutamente improbabile e le accuse del Department of Justice di New York non sono né abbastanza forti né fondate.
4 – LA RISPOSTA DI BITFINEX ALLE ACCUSE
Bitfinex ha ottime argomentazioni contro l’ingiunzione della procura, che sono state esposte dai suoi legali alla Corte Suprema dello Stato[19]
Anzitutto, una normale ingiunzione preliminare sarebbe inapplicabile in questo caso, il che è auto-evidente per via del fatto che la procura abbia dovuto ricorrere al Martin Act. Ma nemmeno il Martin Act può essere applicato, per varie ragioni. Intanto perché non c’è nessun danno irreparabile e nemmeno alcun soggetto che sia identificato come vittima che possa aver sofferto di alcuna perdita: “Attorney General has not identified any victim that has suffered any loss”.
Fra l’altro, Bitfinex non ha clienti dello Stato di New York e nemmeno clienti americani in generale, già dall’agosto 2018. La notizia, che al tempo ha fatto molto clamore nella community crypto, si può leggere sul sito internet di Bitfinex:
“Bitfinex has decided to stop serving US individual and corporate customers altogether. As of August 15, 2018, no trading or funding services will be available to these users”.
Sul sito compaiono anche tutti i dettagli che sono stati comunicati relativamente a come chiudere e prelevare tutti i fondi, specificando che quanto verrà lasciato su Bitfinex dai cittadini USA sarà considerato da Bitfinex “proprietà abbandonata”.[20]
Questo è un dato di fatto, abbiamo anche numerose testimonianze dirette che i cittadini americani hanno davvero dovuto chiudere il conto. Chi non conosce di persona qualcuno, può leggerne ovunque online. Qui[21] per esempio alcuni traders si lamentano della chiusura e chiedono alternative valide tanto quanto Bitfinex, che è da sempre nota per essere una piattaforma, oltre che tecnicamente ineccepibile e robusta, anche molto conveniente per quanto riguarda commissioni e percentuali di lending e funding
Un altro argomento molto forte a difesa di Bitfinex consiste nel fatto che la procura non denuncia la presenza dell’apertura di una linea di credito fra Tether e Bitfinex, che di fatto è completamente legale, ma accusa di non averla comunicata a clienti e azionisti: “the alleged nondisclosure of that information”. Di per sé, questa è un’accusa molto blanda per giustificare il Martin Act e, comunque, Tether ha aggiornato i termini sul proprio sito a febbraio, un mese prima della transazione con Bitfinex, scrivendo che le riserve possono anche includere, oltre a denaro cash, “prestiti fatti da Tether a terze parti, che potrebbero includere entità affiliate” (dove l’affiliated entity è chiaramente Bitfinex).
“the alleged wrongdoing within the purview of the Martin Act is not the line-of-credit transaction itself, but the alleged nondisclosure of that information. While Bitfinex and Tether do not believe they did anything wrong at any point in time, any failures to timely disclose information to customers or to holders of tether was cured when Tether updated its website over two months ago — long before this proceeding was filed. The ongoing transactions via Bitfinex and Tether are not in any sense fraudulent, nor is the line-of-credit transaction”
In aggiunta, Bitfinex ribadisce la robustezza del gruppo Tether/Bifinex, specificando le quantità tenute in riserva e la piena solvibilità dell’azienda, dimostrata anche dalle quantità prelevate quotidianamente dagli utenti senza alcun intoppo (cito tagliando e adattando liberamente, trovate il testo originale nello screenshot):
“Ad oggi le riserve in cash di Tether ammontano a 2.1 miliardi di dollari. Fra dicembre 2018 e il 29 aprile 2019 il prelievi medi ammontano a 566 mila dollari al giorno, con il prelievo più grande di 24.2 milioni di dollari. Anche se Bitfinex attinge pienamente alle riserve di Tether in USD, queste ammontano comunque a poco meno di 2 miliardi, costituendo il 68% dei tethers in circolazione [che da coinmarketcap possiamo vedere sono 2.7 miliardi di USDT]. E si parla solo di riserve in cash. Oltre a queste, Tether detiene riserve meno liquide, per un ammontare totale del 100% dei tethers in circolazione. Le banche commerciali operano sotto riserva frazionaria e, secondo i dettami della Federal Reserve, devono tenere riserve in cash che rappresentino, al più, il 10% delle loro attività. Le riserve di Tether eccedono di gran lunga quella soglia, e Tether non ha mai mancato di processare una sola richiesta di prelievo”.
Infine, Bitfinex lancia una frecciata alla procura: l’ingiunzione preliminare non ha alcuno scopo se non quello di fare notizia (“generate headlines”) ed è altamente nociva per il business di Bitfinex; avrà il solo effetto di danneggiare i clienti che il General Attorney afferma di voler proteggere.
“The balance of equites strongly factors Bitfinex and Tether, because the Attorney General’s preliminary injunction was obtained via a misleading application, and serves no purpose except to generate headlines. On the other side of the ledger, the injunction is highly disruptive to Bitfinex’s business, and will only harm the very customers the Attorney General claims to be interested in protecting”
Il Giudice Cohen della Corte Suprema ha preso visione dei documenti e ha espresso il suo disappunto per il modo in cui l’ingiunzione è stata formulata e l’assurdità della mole di documenti richiesti. Non solo, ha pronunciato letteralmente le seguenti parole:
“l’ingiunzione preliminare che abbiamo ad oggi è vaga, senza un fine preciso e non è ritagliata sulla base di quello che il General Attorney intende con ‘danno imminente’. Ritengo che manchi al tempo stesso di una forma e di un fine”.
“the preliminary injunction that we have right now is vague, open-ended and not sufficiently tailored to precisely what the AG has shown will cause imminent harm. I think it’s both amorphous and endless.”[22]
La procura di New York ha addirittura “difeso” le sue ragioni dicendo che tutto sommato l’ingiunzione è “narrow” (di portata limitata) e che non avrebbe comunque un impatto significativo sull’operatività né di Tether né di Bitfinex.
5 – EPILOGO
Per un reale epilogo di questa storia, attendiamo la pronuncia del giudice Cohen il 13 maggio, ma in Bitfinex intanto non se ne stanno con le mani in mano. Ci sono problemi di liquidità? No problem, i soldi li tiriamo fuori con la bacchetta magica. È stato infatti lanciato il token LEO, la ICO di Bitfinex. O più precisamente, la IEO di Bitfinex (Initial Exchange Offering).
A cosa servirà mai questo nuovo token, quale mirabolante tecnologia implementa? Qui si può leggere il white paper di LEO
Sembra che l’obiettivo della IEO sia proprio quello di coprire i problemi di liquidità di Bitfinex. L’azienda vende i token in cambio di asset liquidi (dollari, crypto). Mano a mano che i fondi nelle banche di Crypto Capital vengono recuperati, Bitfinex ricompra i token LEO dagli investitori e li brucia. Secondo il white paper, questo processo di riacquisto procede finché Bitfinex recupera il 95% di tutti i fondi ora sequestrati. In cambio, gli investitori ottengono grossi sconti sulle commissioni della piattaforma, più altri benefits. Gli holders hanno la possibilità di scambiare i LEO tokens come se fossero un’alternativa agli USDTs, ma aventi come sottostante i dollari congelati nelle banche.
Il private placement ha già raccolto un valore pari a quasi 1 miliardo di dollari.
A quanto pare Mago Merlino ha colpito ancora.
È proprio vero: Italians do it better.
Aggiornamento al 13/05/2019
Il giudice Cohen si è pronunciato restringendo notevolmente l’ingiunzione preliminare, che ha quindi i seguenti effetti:
i) Tether non può fare altri prestiti/trasferire fondi a entità affiliate (Bitfinex). L’ordine non preclude però qualsiasi altra attività di ordinario business di Tether
nota: dato che la linea di credito fra Tether e Bitfinex è di 900 milioni di cui 750 sono stati già trasferiti, questo ordine comporta che Bitfinex non possa disporre di altri 150 milioni. Poiché Bitfinex ha raccolto oltre 1 miliardo grazie alla IEO “Unus Sed Leo” è difficile che abbia altri problemi di liquidità. Inoltre, Bitfinex attende sempre di recuperare anche gli 850 milioni dalle banche di Crypto Capital
ii) Tether non può sganciare dividendi a dipendenti, dirigenti, agenti, investitori etc. da fondi presi dalla riserva in dollari di Tether. Ma può spenderli per salari, pagamenti ai fornitori, consulenti etc.
iii) Tether non può distruggere o modificare registri contabili, file, corrispondenza etc. che possano riguardare il subpoena del 27 novembre 2018, la lettera del 26 febbraio 2018 o questo stesso Ordine del 13 maggio 2019
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NOTE:
La scena della foto di copertina è ripresa in questa sequenza di fotogrammi.
[1] The Editorial Board (2018-03-25). “The Worst Law in America”. Wall Street Journal. ISSN 0099-9660. Retrieved 2018-05-22. https://www.wsj.com/articles/the-worst-law-in-america-1522014930
[2] https://www.nytimes.com/2003/04/28/business/regulators-finalize-14-billion-wall-st-settlement.html
[3] https://www.bloomberg.com/news/articles/2015-11-10/everything-you-need-to-know-about-the-exxon-climate-change-probe
[4] https://www.bloomberg.com/quicktake/martin-act
[5] http://www.albertodeluigi.com/2018/06/13/tether-audit-subpoena-bitfinex/.
[6] https://www.bizjournals.com/newyork/news/2015/08/12/the-great-bitcoin-exodus-has-totally-changed-new.html
[7] https://www.theverge.com/2018/4/17/17247946/bitcoin-new-york-attorney-general-eric-schneiderman-investigation
[8] http://www.albertodeluigi.com/ross-ulbricht-silk-road/
[9] https://bitcoinexchangeguide.com/cryptocapital-co-may-be-cryptos-black-swan/
[10] Vedi Reddit su r/Bitcoin, Coinapult
[11] Vedi canale Reddit r/CryptoCurrency su CEX
[12] https://www.coindesk.com/crypto-exchange-quadrigacx-awaits-ruling-on-22-million-in-frozen-funds
https://cointelegraph.com/news/judge-rules-in-favor-of-canadian-bank-in-dispute-with-crypto-exchange
[13] Vedi canale Reddit r/QuadrigaCX
[14] https://www.docdroid.net/wYxaOnX/gerald-cotten-will.pdf
[15] https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-02-05/crypto-exchange-founder-filed-last-will-12-days-before-he-died
[16] https://www.manhattanda.org/unicredit-bank-ag-to-plead-guilty-and-pay-316-million-to-das-office-related-to-illegal-transactions-on-behalf-of-nuclear-weapons-proliferator/
[17]
Ordine del 24 aprile:
https://ag.ny.gov/sites/default/files/2019.04.24_signed_order.pdf
File 25 aprile:
https://iapps.courts.state.ny.us/fbem/DocumentDisplayServlet?documentId=vIexA1b0spKOnK_PLUS_ZUGTJ3A==&system=prod
[18] https://www.coindesk.com/tether-lawyer-confirms-stablecoin-74-percent-backed-by-cash-and-equivalents
[19] https://iapps.courts.state.ny.us/nyscef/ViewDocument?docIndex=JcKQms/tM52ywY78HUsInw==
[20] https://support.bitfinex.com/hc/en-us/articles/115003461254-US-Residents-Frequently-Asked-Questions
[21] Vedi canale Reddit r/Bitfinex
[22] https://www.coindesk.com/judge-asks-nyag-to-narrow-scope-of-amorphous-bitfinex-document-request